Il dilemma di Tuchel
Tedesco, nuovo ct dell’Inghilterra. Ha le idee chiare su cosa fare in panchina. Tranne una, ma fondamentale
Oggi parliamo di:
Shakespeare avrebbe amato una sceneggiatura come quella di Tuchel ct dell’Inghilterra. Capiamo se da commedia diventerà una tragedia.
Siamo alle solite: arrivano buio e freddo e anche gli sportivi più incalliti sentono il dolce richiamo del divano e della cioccolata calda.
Le rubriche di SPORTERZ: antipasto di LA 2028 con l’Intuit Dome dei Clippers, la maglia del Canada con la soundwave dell’inno e poi notizie curiose su eventi e protagonisti con qualche link per approfondire.
Se questa storia fosse stata nell’Inghilterra del tardo 1500 sarebbe sicuramente diventata un’opera della produzione di William Shakespeare. Arte, commedia e (speriamo di no) tragedia sono ingredienti tipici del vasto ricettario del Bardo. Ma siamo nel 2024, quando Thomas Tuchel (1973) diventa il nuovo ct della nazionale inglese di calcio. Un tedesco sulla panchina dei Tre Leoni, incaricato dalla federazione locale di riportare a casa nel 2026, dalle ex colonie oltre l’oceano Atlantico, la Coppa del Mondo. Lui ha le idee chiare di come farlo, i calciatori sono disposti a seguirlo e i tifosi sembrano accettare un “nemico” a capo della nazionale. Ma c’è ancora un dettaglio da sistemare. E non è un dettaglio da poco.
Who are you? Tuchel è un ex difensore diventato allenatore di club e dal 2025 sarà il terzo straniero in panchina dell’Inghilterra dopo lo svedese Sven-Göran Eriksson (2001-2006) e l'italiano Fabio Capello (2008-2012). La scelta di Tuchel non è piaciuta a molti inglesi, fedeli al motto "allenatore inglese per la nazionale inglese". Ma la realtà ci dice che la Premier League è il campionato più importante al mondo ma ci sono solo 3 tecnici inglesi su 20 squadre. I successi di Tuchel, tra cui la vittoria della Champions League con il Chelsea nel 2021 e la gestione di Borussia Dortmund, Paris Saint-Germain e Bayern Monaco, sono credenziali importanti. Ma considerando la rivalità storica tra le due nazioni potrebbero non bastare. Ogni dettaglio conta in questa storia.
Cosa deve fare Tuchel? Mettere le cose in chiaro, darsi un obiettivo, una scadenza e dire "seguitemi, vi farò vincere". Ha messo in chiaro che è tedesco, ma che ama il calcio inglese tanto da aver vinto da outsider una Champions League con il Chelsea; il suo obiettivo è "mettere la seconda stella sulla maglia" (cioè vincere il mondiale 2026); resta 18 mesi e non pensa al dopo; seguirlo significa giocare per vincere anche se questo vorrà dire giocare male, perché mettere in pratica i suoi punti di forza significa sovrastare l'avversario. L'unica cosa che non ha ancora deciso è se canterà o meno l'inno inglese. E qui si gioca parecchio in termini di leadership e credibilità. Ecco il dettaglio shakespeariano della trama.
Inno vs. Haka. Perché la questione di cantare l’inno è così importante? Semplice, cantarlo prima di un match internazionale è un’invenzione d’Oltremanica. La data è 16 dicembre 1905, il luogo Cardiff in Galles, l'evento la partita di rugby tra Galles e Nuova Zelanda. I neozelandesi erano già ai tempi uno squadrone grazie alle vittorie in campo e alla loro riconoscibilità: vestivano tutti di nero - gli "all blacks" - e danzavano la haka dei guerrieri maori prima del kick off. I gallesi pensarono di rispondere alla danza con l'esecuzione dell'inno Hen Wlad Fy Nhadau (La vecchia terra dei miei padri, in gaelico). Prima cantò la squadra in campo, poi tutto il pubblico allo stadio (40.000 persone) si unì in modo spontaneo. Vinsero i gallesi 3-0 mentre i neri neozelandesi incassarono l'unica sconfitta in 35 partite della tournée. Per l’epoca fu un successo e l'eco internazionale dell'inno cantato, in una situazione insolita ed eccezionale, contribuì a diffondere l’usanza nel Regno Unito e poi altrove. Fino allo sbarco ai Giochi olimpici del 1924 a Parigi, dove viene suonato l'inno nazionale per celebrare la vittoria della medaglia d'oro.
“Cantare o non cantare: questo è il problema”. Qui torna protagonista il Bardo: cosa avrebbe fatto fare al suo eroe straniero Shakespeare? Il contesto è ovviamente importante: non cantare l'inno in uno stadio di provincia durante l'amichevole con una rappresentativa locale non ha rilevanza. Non cantarlo, o cantarlo, a Wembley prima di un match internazionale con il sold out è un contesto completamente diverso. Ma attenzione: non scegliere è comunque una presa di posizione. E potrebbe essere una comunicazione non chiara, quindi non compresa, da parte del pubblico. Dare per scontato che il pubblico capisca è un errore decisivo: un comportamente è codificato in modo diverso in base a chi osserva. Quindi la comunicazione deve essere efficace e chiara: o canti l'inno (per senso di appartenenza e rispetto del tuo datore di lavoro) o non lo canti (per coerenza e rispetto al contesto visto che non sei inglese).
Cosa hanno fatto gli altri. Fabio Capello, ct dell'Inghilterra per 5 anni, non cantò mai l'inno perché è "sbagliato" cantare quello di un'altra nazione: "Non canterò l'inno nazionale perché ritengo che sia sbagliato cantare l'inno di un altro Paese, ma mi vengono i brividi quando sento God Save the Queen". Lo svedese Sven-Goran Eriksson disse di non aver mai veramente imparato l'inno nazionale inglese, ma tentava di cantarlo prima delle partite: "Non sono sicuro di aver mai imparato del tutto God Save the Queen, ma eccomi lì, uno svedese, in piedi davanti alla panca, che cerca di canticchiarlo". Lee Carsley, ct ad interim dell'Inghilterra tra Southgate e Tuchel, non ha cantato l'innov alla sua prima partita sulla panchina dei Tre Leoni. Lui è inglese, ma con 40 presenze nella nazionale della Repubblica d'Irlanda. "Rispetto pienamente entrambi gli inni e capisco quanto significhi per entrambi i Paesi. È qualcosa di cui ho davvero rispetto", ha detto spiegando che non lo cantava già da ct dell'under 21 inglese.
Nessuno è senza macchia. A Euro 2024 tutti gli undici titolari dell'Inghilterra hanno sempre cantato God Save the King. Ma non è sempre stato così, con buona pace dei polemisti. L'ex capitano Wayne Rooney spesso non cantava l'inno nei primi anni e la Football Association lo ha difeso: "Se un giocatore desidera o meno cantare l'inno nazionale è una scelta puramente personale". Gary Neville affermò nel 1995 di non cantare l'inno perché l'ex presidente della FA, Geoff Thompson, alla prima convocazione gli disse che "doveva" cantarlo e la sua risposta fu molto in stile brit-pop come uno degli Oasis: "Prendo sul serio il mio lavoro e non canto prima di una partita, non sono quelli in giacca e cravatta a dirmi cosa fare".
Comunque vada sarà una critica. L'inno nazionale è per qualcuno un simbolo di orgoglio e patriottismo. Quindi decidere di non cantarlo può essere interpretato come irrispettoso nei confronti del Paese. Per altri invece cantare o meno l'inno è una scelta personale. Alcuni calciatori preferiscono focalizzarsi sul "qui e ora" non non distrarsi con il protocollo e il canto corale nello stadio (o i fischi). Una cosa è certa: bisogna comunicare la decisione in modo chiaro e senza essere fraintesi. Per Thomas Tuchel il dilemma è: cantare l'inno inglese ed essere criticato perché tedesco; non cantare l'inno ed essere criticato perché tedesco. Visto che è tedesco deve scegliere, perché restare nel limbo del "tedesco che ama il paese che lo ospita" funziona solo per le vacanze in Italia. Potrebbe tornare alla radice storica del fatto: il rugby, dove si canta l’inno nazionale anche se non si è nati in quel paese. Unico consiglio, non richiesto, al neo ct inglese: in caso di finale tra Inghilterra e Germania si dia malato.
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Sportivi, in fondo spiace sempre lasciare solo il divano
Ci risiamo: inizia il freddo, le giornate sono più corte e con meno ore di luce, l’inquinamento sale alle stelle nelle zone industriali. Mancano solo le cavallette (cit. Jake Blues) e ogni scusa è quella buona per non uscire di casa. Cosa ci rende così poco SPORTERZ?
La cosa più difficile è cominciare. Il nostro cervello è geneticamente impostato sul risparmio energetico. Qualsiasi obiettivo prima o poi si scontra con lo stand-by. Quindi bisogna fare di tutto per eliminare gli ostacoli che possono far venire voglia di rimanere a letto, sul divano, seduto al tavolo o alla scrivania. Prepara l'outfit e metti le scarpe alla porta: nessuna scusa o ritardo deve interrompere la tua routine.
Bisogna essere realisti. Se alzarsi alle 6 del mattino a luglio e uscire a correre è quasi normale, verso la fine dell'anno è utopistico allenarsi al buio e al freddo. Quale sarebbe il momento migliore per correre o andare in palestra o in piscina? Magari meglio dopo il lavoro, magari in pausa pranzo. Organizzare la giornata, altrimenti il cervello inizierà a remare contro.
Da zero a cento, anche no. Sfidiamo il nostro cervello, mettiamolo in pausa e non ascoltiamo il dolce richiamo del divano. Tutto perfetto, ma attenzione a non strafare. Bisogna dosare frequenza e intensità dell'allenamento. Con il tempo è normale acquisire sicurezza, forza e resistenza. Altrimenti è solo dolore muscolare e sappiamo che manco è colpa dell'acido lattico!
Musica leggerissima. Ascoltare una playlist motivante o un podcast motivazionale non è male come compagnia durante l'allenamento. Con il vantaggio di non divagare troppo e perdere tempo come quando ci si allena in gruppo. Un ricerca del 2017 ha dimostrato che la musica giusta al momento giusto può ridurre la sensazione di fatica e di sforzo durante gli esercizi, specie se a bassa e a media intensità.
Certo, devi anche essere soddisfatto. Ovviamente tutto quello scritto prima non vale se non c'è piacere nell'allenarsi. E non è scritto nella pietra che se uno ama andare in bici non possa concedersi dei diversi in piscina o in palestra. O che un runner non provi soddisfazione ad allenarsi con qualche peso. Se l’alternativa è non allenarsi, allora va bene qualsiasi cosa pur di restare attivi.
Hai una storia personale da condividere? Scrivimi e racconta!
Da AMA LA MAGLIA
A proposito di inni, nel 2012 sulla maglia della nazionale canadese di calcio è comparso il ricamo di una soundwave, cioè l’onda sonora di “O Canada”. Inno ovviamente previsto in due versioni linguistiche: inglese e francese. Peccato che nessuna delle due tracce audio corrispondesse a quanto messo sulla divisa! La storia completa è in questo post.
Su Ama la Maglia, il mio blog dedicato alle divise sportive, ti aspettano 1.500 post con tante storie e curiosità.
Set POINTZ
Da quest’estate mi sto facendo un’idea che l’arena dei Los Angeles Clippers, inaugurata a Ferragosto, sia l'antipasto di quello che si vedrà alle prossime Olimpiadi del 2028 in California.
Questo post di Never Ending Season, dedicato all’Intuit Dome, spiega 5 cose sulla nuova casa della franchigia. Vi lascio solo un numero: 1.160. Scoprite voi a cosa è riferito!
Match POINTZ
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Abbiamo visto l'Inghilterra del rugby perdere di 2 punti nel test match autunnale contro gli All Blacks a Twickenham. Ops, no... volevo scrivere dell'Allianz Stadium di Londra, cattedrale storica della palla ovale.
Da due edizioni dei Giochi estivi vediamo il tuffatore britannico Tom Daley sferruzzare in tribuna. Dice che gli serve a rilassarsi e molto ricerche scientifiche gli danno ragione. Ora c'è anche una mostra dei suoi golfini.
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