"Sport is in da house". O forse no
Viaggio nella tradizione (inventata) del giro d'onore alla Casa Bianca
#sapevatelo: “L’ignoranza è la madre delle tradizioni” (Montesquieu).
C’è l’audio! L’argomento principale è in text to speech!
Il mistero della maglia 23 dei Mavericks a Obama
E poi notizie curiose su eventi e protagonisti con qualche link per approfondire.
Quando inizia una tradizione?
In generale quando una o più persone decidono di iniziare a fare qualcosa e ripeterla nel tempo, con una cadenza fissa, tramandandola di generazione in generazione.
Come l’insalata russa per il giorno di Natale. Non puoi rifiutarla, perché “la mangiava sempre come antipasto la bisnonna”.
Cadere nel tranello dell'invenzione della tradizione è facile. Eric Hobsbawm e Terence Ranger, nel saggio The Invention of Tradition, pubblicato da Cambridge University Press, ipotizzano che molte tradizioni - che appaiono antiche - hanno spesso un'origine recente e talvolta sono inventate di sana pianta
Infatti nessuno ha le prove che la bisnonna mangiasse l’insalata russa a Natale. Però la tradizione vuole che si mangi proprio come antipasto.
L'invenzione della tradizione si realizza con un processo creativo in un breve arco di tempo. Lo si fa per elaborare una risposta a tempi di crisi, a periodi di rapido cambiamento sociale, alla necessità di fronteggiare nuove situazioni.
Perché? Il richiamo al passato serve per legittimare queste novità.
Cocktail di gamberi? Finger food? Per carità, nessuna novità stravagante perché a Natale, come antipasto, c’è l’insalata russa. Come da tradizione.
Eric Hobsbawm divide le invenzioni in tre gruppi, in base alla funzione sociale che la nuova tradizione deve assolvere:
quelle che davano legittimazione e fondamento a istituzioni, status, gerarchie sociali o rapporti di autorità;
quelle che stabilivano o simbolizzavano la coesione sociale o l'appartenenza a gruppi e a comunità, reali o artificiali;
quelle il cui scopo principale era la socializzazione e l'inculcamento di credenze, di sistemi di valori, di habitus mentali e culturali, di codici convenzionali di comportamento.
Bene, dopo l’antipasto di insalata russa della bisnonna e le teorie sulle neo tradizioni arriviamo al punto: il giro d’onore delle squadre e degli sportivi alla Casa Bianca.
Si definisce spesso come “una tradizione”: è davvero così?
Per Hobsbawm e Ranger rientrerebbe nella riproposizione di vecchie tradizioni, quindi la possiamo classificare come “reinvenzione” della tradizione.
Qui entriamo nel vivo dell’attualità con il ritorno di Donald Trump come POTUS. E fate attenzione perché non parliamo solo dello sport alla Casa Bianca, ma anche della sua assenza.
Sotto la sua prima presidenza molte squadre hanno declinato l’invito. Singoli atleti hanno preso posizioni nette sulla politica del POTUS. I commentatori di ogni livello hanno tirato fuori il discorso della “tradizione”.
Come si fa a non rispettare una tradizione? Del resto, la tradizione esiste per dare una certezza, infondere un senso di sicurezza. Altrimenti è il caos.
Ma che tradizione è andare alla Casa Bianca dopo un titolo NFL, NBA, MLB o NHL?
Il primo presidente USA a invitare ufficialmente una squadra alla Casa Bianca è Jimmy Carter. Anzi, ne invita due da Philadelphia: gli Steelers pluricampioni della NFL e i Pirates vincitori della MLB. Era il 22 febbraio 1980.
Parlando di tradizioni, dal 1980 in poi tutti gli altri presidenti hanno ospitato i campioni NFL dopo la vittoria del Super Bowl. Fino al 2017.
Quindi una tradizione recente, perché prima di Carter le celebrazioni sportive alla Casa Bianca erano sporadiche.
Le cronache del 1600 di Pennsylvania Avenue riportano che nel 1978, lo stesso Carter, ospitò i Washington Bullets campioni della NBA: non era però un invito ufficiale, era piuttosto una visita di cortesia tra concittadini del District of Columbia.
Il primo che risulta dagli atti della Casa Bianca è il presidente Andrew Johnson, che ospitò i club di baseball amatoriale dei Brooklyn Atlantics e Washington Nationals nel 1865: Johnson tifava per questi ultimi, mentre gli altri avevano vinto il campionato la stagione precedente.
Calvin Coolidge nel 1925 accolse i campioni delle World Series 1924: i Washington Senators fecero una capatina all'illustre concittadino. John Fitzgerald Kennedy ospitò i Boston Celtics, pluricampioni della NBA, nel gennaio 1963: era la squadra della sua città natale. Gli Indiana Hoosiers di Bob Knight furono invece i primi campioni NCAA di basket a incontrare il POTUS, in quel caso Gerald Ford, nel 1976.
Quella di Carter è stata quindi una "reinvenzione" di un evento precedente sporadico e non istituzionale.
Piccolo spazio curiosità.
La "tradizione" - ancora lei! - vuole che le squadre portino in omaggio una maglia personalizzata con il nome del presidente e il numero 1.
In realtà gli Steelers regalarono a Carter un asciugamano: il terrible towel di colore giallo nato nel 1975 con un'altra invenzione della tradizione da parte della stazione radio WTAE.
Ma torniamo al tema principale. Stewart McLaurin, presidente della White House Historical Association, ha detto a Front Office Sports:
Fu davvero Carter a vedere la magia dello sport nell'unire le persone. Non erano solo le squadre che portava alla Casa Bianca. Portò Hank Aaron alla Casa Bianca dopo che aveva fatto il suo fuoricampo da record nel 1974. Quello diede davvero inizio a una tradizione che si è evoluta e ha assunto diverse manifestazioni con diverse presidenze
Gli storici non classificano Jimmy Carter come un presidente “sportivo”. Amava le gare di auto categoria Nascar e faceva jogging tra lo stupore del tempo (negli Anni 70 non era di tendenza andare a correre in strada per tenersi in forma).
Perché allora?
La reinvenzione della tradizione aveva un motivo politico e sociale.
Ricordate il primo punto della teoria di Hobsbawm: dare legittimazione e fondamento a istituzioni, status, gerarchie sociali o rapporti di autorità.
Nel suo discorso del 1980, Carter infatti menzionò il running back Rocky Bleier degli Steelers, che era un veterano militare come lui e che era stato insignito della Purple Heart dopo aver combattuto in Vietnam:
Rocky Bleier, qui, degli Steelers, ha combattuto per il nostro paese, come sapete, in Vietnam. Questa non è stata una guerra popolare. Ci vuole sempre coraggio per combattere e rischiare la vita, ma ci vuole ancora più coraggio quando non c'è un travolgente senso di patriottismo e supporto, come è mancato durante gli anni della guerra in Vietnam...
Erano passati solo 5 anni dalla fine di una guerra durata ben 20 anni.
L'opinione pubblica era ancora sconvolta per i pesanti strascichi lasciati nella società.
Jimmy Carter voleva archiviare il Vietnam.
E ripartire.
Una scelta mantenuta poi dal successore Ronald Reagan, che ospitò anche i New York Islanders nel 1983, i primi campioni NHL di hockey su ghiaccio a visitare la Casa Bianca.
Quindi qui si chiude la storia della creazione della tradizione: NBA, NFL, MLB e NHL. Poi tutti i campioni NCAA e poi i singoli sportivi vincitori di titoli.
E adesso: gli Eagles, freschi campioni NFL, rispetteranno la tradizione?
Dipende.
Se saranno invitati potrebbero declinare l’invito. Non c’è automatismo in questa tradizione.
Del resto, anche l’insalata russa tanto cara alla bisnonna come antipasto a Natale bisogna pur andarla a comprare. O no?
Intanto però è partita una nuova tradizione.
Nel 2017 Donald Trump ritirò l'invito alla Casa Bianca dei Golden State Warriors, campioni NBA, dopo che Steph Curry disse di non essere interessato ad andarci per via delle opinioni politiche del POTUS:
Se la cosa verrà messa ai voti con gli altri compagni il mio sarà scontato e sarà un no, così forse ispireremo il cambiamento
E la risposta di Trump fu:
Andare alla Casa Bianca è considerato un grande onore per ogni squadra campione. Stephen Curry sta esitando, quindi l’invito è ritirato. I Golden State Warriors non sono i benvenuti alla Casa Bianca
Con la replica furiosa di LeBron James:
Hey tu, idiota: Curry aveva già detto che non sarebbe venuto, quindi non c'era invito. Andare alla Casa Bianca era un grande onore prima che ci fossi tu!
Quando nel 2018 gli Eagles vinsero il Super Bowl diversi giocatori scelsero di non accettare l'invito di Trump.
Per solidarietà con Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers.
Ve lo ricordate?
Il giocatore che si inginocchiava durante l’inno americano.
Una forma di protesta contro le disuguaglianze razziali.
Fatto fuori a colpi di tweet di Trump.
Proprio quel Trump che, offeso dal rifiuto di alcuni campioni, revocò l'invito agli Eagles dicendo che i fan "meritavano di meglio".
Ma non furono i soli, perché durante la sua prima presidenza solo una squadra andò da lui.
I New England Patriots, nel 2017.
Ma con la dichiarata assenza di parecchi giocatori per “incompatibilità politica” con il presidente.
Febbraio 2025: Trump è tornato presidente.
Il primo nella storia ad andare di persona al Super Bowl.
Sperava nella vittoria dei Chief, ma hanno vinto ancora gli Eagles.
Lui ha abbandonato lo stadio prima della fine.
Cosa farà Trump?
Darà seguito alla tradizione inventata da Carter o proseguirà nella sua neo tradizione di non invitare chi lo critica pubblicamente?
Ricordate il terzo punto della teoria di Hobsbawm: l’invenzione della tradizione con “lo scopo della socializzazione e l'inculcamento di credenze, di sistemi di valori, di habitus mentali e culturali, di codici convenzionali di comportamento”.
Dove l’abbiamo già sentito?
Nello show “The Apprentice”. Era il 2004.
Trump che urla: “Sei licenziato”.
Le puntata sono andate avanti fino al 2017.
E lui ha portato alla Casa Bianca lo stesso format.
Altrimenti lo spettacolo non funziona.
Come da… tradizione!
Da AMA LA MAGLIA
Torniamo alla Casa Bianca, quando i Dallas Mavericks, campioni NBA 2011, regalarono al POTUS Barack Obama la loro maglia personalizzata con il numero 23.
Racconto la vicenda in questo post del 10 gennaio 2012. Anche al tempo la scelta fece scalpore: era un omaggio a Michael Jordan, di cui il chicagoan Obama era tifoso, o un mancato riconoscimento dello status presidenziale in quanto democratico, visto che il Texas è di tradizione repubblicana?
Su Ama la Maglia, il mio blog dedicato alle divise sportive, ti aspettano 1.500 post con tante storie e curiosità.
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🎾 Match POINTZ
Gino Bartali, un vero eroe
Lo dice l'attore americano Miles Teller (1987) che interpreterà il leggendario ciclista italiano in un biopic sulla sua vita. Dobbiamo ricordarci anche noi italiani dell’importanza di Gino Bartali (19014-2000).
Nello sport e non solo.
Chiudiamo il cerchio sull’esame delle tradizioni, con quella del giro d’onore degli atleti italiani al Quirinale. Tradizione che per quasi tutti noi deve essere rispettata (vedi le polemiche su Jannik Sinner per la sua recente assenza).
La tradizione nell’Italia repubblicana è iniziata proprio con Gino Bartali nel 1948.
Al Quirinale c’era Luigi Einaudi (1874-1961).
Il Ginettaccio aveva vinto il Tour de France e, si dice, la sua impresa sportiva aveva scongiurato un colpo di Stato dopo l'attentato a Palmiro Togliatti - segretario del Partito Comunista - del 14 luglio 1948.
Nell'archivio storico della Presidenza della Repubblica (ASPR), Servizio del Cerimoniale, Einaudi, Diario Storico, si legge:
Il 10 agosto 1948 alle 9.45 Gino Bartali, presentato dall’On.le Giulio Andreotti, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri è ricevuto al Quirinale
Per Bartali è un risarcimento: nel 1938 aveva già vinto il Tour, ma non era stato ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia.
Il motivo del rifiuto?
Perché Gino, convinto cattolico, aveva dimostrato più fedeltà al Papa e al Vaticano.
Non al regime.
E non è stato invitato. Vi suona già sentita come tradizione?