Perché il giallo dell’Inter non è solo una questione di marketing
I colori nello sport sono un linguaggio emotivo e identitario, non solo un elemento visivo
Ciao SPORTERZ!
I colori nello sport sono fondamentali
Creano identità visiva e affezione.
Due evoluzioni sono all’orizzonte.
Una sportiva e una di marketing.
Avete visto l’Inter in campo l’altra sera?
No, non mi riferisco al risultato della finale di Champions League a Monaco.
Parlo proprio dei nerazzurri in campo. Io no. E non sono l’unico.
Giocarsi la partita più importante della stagione in modo così anonimo, con una maglia gialla senza significato storico e sportivo. Il marketing ha le sue regole: le divise sono ormai pensate per essere vendute ai tifosi di tutto il mondo.
Ma cosa c’entrava quella maglia con il DNA dell’Inter?
Il giallo fa parte dello stemma del club, e qualche maglia alternativa del passato aveva quella tonalità. Ma dov’erano il nero e l’azzurro? Sarebbe bastata la tradizionale seconda divisa bianca di quest’anno con bordi nerazzurri, ma non era inserita nel protocollo UEFA per questa stagione. Nessuna deroga.
Un peccato, sia sul piano sportivo sia su quello dell’immagine. Perché l’identità visiva è ciò che unisce i tifosi di ogni generazione. Basta un’occhiata alla maglia per sentirsi parte di qualcosa.
Mi è venuto in mente l’articolo di Ron Schleifer e Ilan Tamir, pubblicato su Frontiers in Psychology nel 2023. Un lavoro che indaga un tema sfuggito ai riflettori del giornalismo sportivo critico (sempre meno influente), ma che plasma il senso di appartenenza: il ruolo dei colori nello sport. Dietro il tifo c’è una grammatica visiva che unisce. Non rispettarla è un errore da matita rossa.
E non si tratta solo di maglie, sciarpe o cappellini. Il colore è un codice visivo potente: aiuta a distinguere i protagonisti, costruire confini tra “noi” e “loro”, mantenere un ordine emotivo nel caos del gioco. O scatenare gli istinti più bassi.
Come dicono Schleifer e Tamir, lo sport offre uno “sfogo controllato delle emozioni”, consentendo l’espressione di impulsi estremi che nella vita quotidiana non troverebbero spazio.
Ma c’è di più.
Il colore è anche un’estensione dell’esperienza estetica, capace di prolungare l’emozione ben oltre il fischio finale. È lo strumento con cui i tifosi trasformano lo stadio in un’opera collettiva: magliette, bandiere, coreografie, cori che non sono solo folklore, ma parte del rito sportivo.
In un’epoca di sport sempre più commercializzato, il colore della squadra resta un simbolo coerente che preserva l’identità dei tifosi. È la nave di Teseo dello sport moderno: tutto può cambiare – e cambia – ma finché restano quei colori, resta anche l’anima del club. Anche se le maglie non sono più di cotone, ma indumenti ipertecnologici di pochi grammi.
I colori diventano simboli di identificazione anche al di fuori del campo.
Attraverso il merchandising, i tifosi rafforzano la propria identità ed “estendono la durata dell’emozione estetica che associano alla squadra ben oltre la partita”, dicono Schleifer e Tamir:
“I colori diventano il simbolo più fortemente identificato con una squadra sportiva”.
Per le organizzazioni sportive e i marketer, comprendere queste dinamiche estetiche e psicologiche è cruciale per rafforzare la fedeltà dei tifosi e massimizzare il coinvolgimento.
Come siamo arrivati al giallo della terza maglia dell’Inter?
Schleifer e Tamir parlano dell’“effetto alone”: come la scelta e combinazione dei colori trasformino i club in brand emozionali e i tifosi in community globali. E qui mi ricollego alla newsletter GeoSport del professor Simon Chadwick, nel suo pezzo “The rise of the Sportister”.
Chadwick racconta l’ascesa di una nuova generazione di tifosi globali: gli sportister.
Meno legati alla geografia, più attratti dal branding, dallo spettacolo, dall’effimero. Consumatori sportivi del postmoderno, che seguono squadre e leghe più per estetica e intrattenimento che per radicamento. Scrive:
“Lo Sportister non è una persona. È un movimento. Una tendenza culturale. Un remix globale di abbigliamento sportivo, memoria e styling. Attinge dall’estetica hipster e dalla cultura calcistica, ma non può essere ridotto a nessuna delle due. È genderless, class-fluid, globally fluent”.
Il fenomeno sportister riflette il potere commerciale e l’impatto culturale del calcio, evoluto da semplice sport a motore di consumo globale.
Ricordate le prime maglie replica?
In Inghilterra, anni Settanta: la ditta Admiral, produttrice di pigiami e intimo, capisce di poter confezionare maglie da calcio e venderle ai tifosi. Una rivoluzione. Inizialmente simbolo del tifo locale, poi seconda pelle da sfoggiare in vacanza. Negli anni Novanta l’epoca d’oro: le grandi aziende globali scalzano le manifatture locali. Le divise si moltiplicano – da due a tre, fino a quattro. Nascono le limited edition. Emergono colori nuovi, fashion e spiazzanti, codici estetici distanti dalle tradizioni dei club. Come la recente maglia gialla dell’Inter, con grafiche ispirate alle architetture di Milano.
Il mio parere? Ne ho due: uno di natura commerciale e uno di natura sportiva.
Quella di marketing è che il calcio e lo sport in generale vanno avanti e non possiamo dire che “era meglio prima, quando tutto era più semplice”. No, la complessità è il paradigma contemporaneo e il calcio è ampiamente sintonizzato su quella frequenza. Vendere maglie fa parte del gioco, quindi serve ricambio della merce e stimolare gli acquirenti. Lo sport, inteso come istituzioni, potrebbe varare una semplice regola: una divisa colorata, una divisa bianca con decorazioni secondarie con le tonalità storiche del club. Poi a livello locale via libera a terze, quarte maglie e speciale edition. Per chi c’era, ricordate USA 94? In un Paese poco avvezzo al calcio e le sue tradizioni varò la regola della divisa colorata e quella bianca.
Nonostante la globalizzazione e il dominio del marketing, i colori nello sport raccontano ancora storie. Sono il simbolo che resiste, l’elemento che mantiene vivo il legame tra campo e spalti, tra squadra e cuore. Schleifer e Tamir ci dicono che il colore è ciò che trasforma un oggetto in un simbolo. Chadwick ci avverte: quel simbolo rischia di diventare un oggetto senz’anima.
La vera sfida è questa: trasformare il colore in un simbolo che unisce, non solo che vende. Perché quando tutto è spettacolo, l’unico elemento che può salvare l’essenza dello sport è ciò che ancora parla al cuore.
E il colore, per ora, continua a farlo.
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Una squadra dell'ottava divisione del calcio inglese mostra come fare una divisa da calcio sul serio, vera e connessa con la sua città, la sua cultura e il suo tifo. Il Walthamstow FC, la William Morris Gallery, Wood Street Walls e Admiral hanno collaborato e creato delle opere d'arte per un club di semi-pro.
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🎾 Set POINTZ
Il calcio italiano continua a perdere valore economico in Europa secondo il report “The European Elite 2025” del Football Benchmark. In testa Real, City e United. La Juve crolla al 15° posto preceduta da Inter (14°) e Milan (13°). Napoli 17°.
Il calcio inquina quanto l'Austria. Lo dice il report "Dirty Tackle" del New Weather Institute. Lo sport più popolare al mondo emette ogni anno tra 64 e 66 milioni di tonnellate di CO2. La sostenibilità deve essere più di uno slogan.
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🎯 Match POINTZ
Quando inizia la stagione del tennis giocato sull’erba?
La domanda è più che lecita visto che nel giro di qualche giorno si chiuderà il Roland Garros sulla terra rossa e si guarderà a Wimbledon, che si gioca proprio sulla superficie verde naturale.
La stagione del tennis sull’erba si apre il 2 giugno con il Birmingham Open e si chiuderà il 13 luglio a Wimbledon. Solo 41 giorni.
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