Emerodromi alla ricerca dell’io/noi
Nessun greco antico corse per 42 km e 195 metri. Perché oggi lo facciamo? Questione di identità
Oggi parliamo di:
Run, baby, run. Il mito di Filippide è una fake news, inventata perché l'importante era partecipare.
Sport estremi e ricerca delle emozioni inespresse: buttarsi da una rupe con il paracadute non è solo questione di adrenalina.
Le rubriche di SPORTERZ: Yankees vs. Dodgers è una storia con tante storie e vi propongo quella di Jackie Robinson, poi notizie curiose su eventi e protagonisti con qualche link per approfondire.
Novembre è mese di maratone importanti: quella di New York il 3 e quella di Atene il 10. Nuovo e antico. Ma antico fino a che punto? Il mito della maratona è stato inventato di sana pianta. Nell’antichità nessuno aveva mai corso una competizione podistica più lunga di 5 km. Il mito di Filippide nasce tra le righe di una poesia, cresce tra i primi sostenitori dell’olimpismo e diventa adulto in occasione dei primi Giochi dell’era moderna, ad Atene, nel 1896. Anche per una questione di identità nazionale per la giovane repubblica ellenica nata nel 1832. La maratona di oltre 40 km era l’evento perfetto per unire i puntini: quelli della Storia e quelli dell’attualità. Però da locale è diventato un fenomeno globale nel giro di un solo anno e, dopo 128, è un oggi un fenomeno di massa. Ripercorriamo una timeline alla scoperta di fatti, numeri e dettagli.
Filippide: chi è costui? Era un militare ateniese. Più leggenda che leggiadro corridore. Si narra fosse un emerodromo, cioè "colui che corre per un giorno intero" ed era un messaggero addestrato a percorrere lunghe distanze in breve tempo, per recapitare dispacci importanti da una città all'altra. La leggenda di Fidippide che annuncia la vittoria a Maratona sembra aver avuto origine più di mille anni dopo, nel XIX secolo, quando Robert Browning scrisse una poesia popolare in cui il corriere corse ad Atene, dichiarò "Rallegratevi, vinciamo!" e morì.
"Avrebbe un sapore antico". Così scrisse Michel Bréal al barone Pierre de Coubertin proponendo una corsa a piedi da Maratona alla Pnice, dove gli antichi ateniesi tenevano le loro assemblee più popolari. L'idea era quella di trovare un evento che legasse l'antica Grecia con i Giochi dell'era moderna per aumentare la partecipazione popolare a sostegno dell’evento e quindi avere una eco mondiale. Ovviamente un progetto che fu accolto con entusiasmo nella giovane repubblica greca nata nel 1832. Per i Giochi di Atene 1896 la maratona subì qualche modifica in corso d'opera. Nei programmi ufficiali venne inizialmente presentata con una lunghezza di 48 km, poi diventati 42 e infine 40 per il giorno della gara. "Una gara di questa lunghezza è, nei fatti, contraria a tutti i principi dello sport e dell'igiene", si scrisse in un editoriale del settimanale L'Univers illustré chiedendo di accorciare la distanza. Pop contro élite. Ma soprattutto la Storia contro la sensazione di storicità.
Un falso storico. Nell'antica Grecia, per i Giochi di Olimpia, non si correvano gare a piedi su grandi distanze. Tutto si svolgeva all'interno degli stadi e la gara più lunga era il dolico, una semplice corsa di 24 stadi che, a seconda della lunghezza delle piste, poteva arrivare a massimo 4,8 km. Nella prima edizione dei Giochi moderni il programma prevede come gara più lunga i 1.500 metri. Poi entrò nel programma la maratona, che veniva sponsorizzata da Bréal in persona con un premio per il vincitore: una coppa d’argento forgiata a Parigi. Nota a margine: nel 1896 si assegnavano medaglie ai primi 2 atleti classificati e rispettivamente di argento e bronzo. Un articolo del New York Times sulla vittoria di Spyridon Louis sentenzia che la gara "suona sospettosamente come una combinazione di leggende adattate all'occasione".
Quindi Filippide? Non c'è evidenza storica di un uomo di nome Fidippide o Filippide (le fonti sono discordanti) che corse da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria contro i Persiani. Erodoto, pochi anni dopo la battaglia nel 490 avanti Cristo, scrisse di un messaggero da Maratona a Sparta e ritorno in cerca di aiuti militari percorrendo 225 km in un giorno e mezzo. Sempre Erodoto riporta di una marcia dell'esercito ateniese da Maratona all'Acropoli per 42 km guidato da Milziade, con il peso delle armature, in un solo giorno, dopo la vittoria. Plutarco, 500 anni dopo, scrisse di una corsa dopo la battaglia con protagonista un messaggero di nome Tersippo o Eucle. Luciano di Samosata riprese la stessa leggenda nel II secolo dopo Cristo riferendo di un messaggero di nome Filippide.
Un romantico ad Atene. Cosa ispirò davvero Bréal nella sua idea di una corsa su una distanza così assurda per i tempi? Non tanto la storia, ma la letteratura. La leggenda di Fidippide, che annuncia la vittoria di Maratona ad Atene, nacque dalla popolarità della poesia scritta da Robert Browning (1812) nel 1879, nella raccolta "Lyrics, Idyls, and Romances", che ripercorreva le sue gesta eroiche fino alla tragica dichiarazione del messaggero: "Rallegratevi, vinciamo!".
Avanti gli altri. Nel contesto dell'epoca, con il ritorno in auge dei Giochi olimpici, c'era grande fermento intorno al fenomeno sport. Che nel 1896, e poi ancora per qualche decennio, era praticato fondamentalmente da poche persone istruite e molti benestanti. Ma la maratona no, i ricchi non la correvano perché una gara così lunga era malvista dalle élite. Quindi era l’evento pop per eccellenza, con corridori in cerca dell’impresa della vita. Il primo vincitore di una maratona fu il greco Charilaos Vasilakos (1875-1964) in 3 ore e 18 minuti: si aggiudicò una selezione locale per stabilire i partecipanti ellenici alla gara olimpica. Che venne poi vinta da Spyridon Louis (1873-1940) in 2 ore e 55 minuti. Vasilakos era un soldato; Louis era un pastore, un portatore d'acqua o un militare in congedo a seconda delle fonti. Ma divenne un eroe nazionale.
Dopo Atene. La prima maratona organizzata negli Stati Uniti si è corsa a Boston un anno dopo, nel 1897. Si tratta di una delle gare cittadine più antiche dell'era moderna fuori dall'organizzazione dei Giochi olimpici del CIO. Si tiene il terzo lunedì del mese di aprile. Altra curiosità: Boston è la prima maratona aperta anche alle donne nel 1973. La maratona di New York City è nata invece nel 1970 ed è la più partecipata al mondo: 43.545 atleti sono arrivati al traguardo nel 2009 con una media di 4 ore e 20 minuti. Torniamo al capitolo donne: solo da Los Angeles 1984 la gara è in programma anche per le atlete.
Fenomeni e guerrieri. Per i primi decenni, con ancora da cristallizzare la distanza di 42 km e 195 metri, la maratona era un richiamo per chi era in cerca di popolarità e un ingaggio come "fenomeno". Per i Giochi di Londra 1908 il tragitto diventò di 42 km e 195 metri: questo perché la linea di partenza era situata al castello di Windsor e il traguardo sotto la tribuna reale dello stadio di Londra. Caso curioso: il primo vincitore di una maratona con la distanza standard fu l'italiano Dorando Pietri, che però venne squalificato perché aiutato da un giudice a tagliare il traguardo. Vinse l'americano Johnny Hayes, che grazie al successo lanciò la prima maratona-mania negli Usa. La seconda ondata di popolarità c’è dopo la vittoria di Frank Shorter ai Giochi di Monaco 1972, che fece esplodere il boom della corsa Oltreoceano. Questo però è il momento storico della svolta: correre è per tutti, è gratis e aumenta l’autostima e lo status sociale. Soprattutto l’industria delle calzature sportive inizia a rifornire i consumatori comuni e non più solo gli atleti. Il movimento dei runner esce dalla nicchia dove le scarpe e le informazioni venivano condivise in modo artigianale e si struttura come una vera e propria disciplina sportiva, filosofica e commerciale.
E allora perché? La comunità dei podisti ha un ruolo fondamentale per chi ama correre e prepararsi alla maratona. Questione di identità: 10, 21 e 42 km e 195 metri diventano uno "spazio sicuro e di fiducia" nel quale identificarsi. Le motivazioni che spingono a correre sulle lunghe distanze sono diverse per ognuno, ma ci sono alcuni tratti comuni tra i maratoneti. Il primo è segnalare socialmente le proprie caratteristiche di dedizione, disciplina e gestione del tempo per allenarsi e prepararsi alla gara: tutte doti necessarie per portare a termine con successo i 42 km e 195 metri. Sia tra i professionisti che tra gli amatori. Molti dei runner corrono per una causa: personale o sociale. Potrebbe essere per il dolore di una perdita (un parente o il lavoro) o per combattere lo stress quotidiano (trovando soluzioni tra i km). Potrebbe anche essere per beneficenza o per una raccolta fondi. Tutti corrono per qualcosa, corrono per una causa. La ricerca del "successo puro" è rappresentata dal tagliare il traguardo dopo mesi di allenamento, imprevisti, malanni fisici e muscolari. Non importa il cronometro, basta mettere un piede oltre la linea e diventare un finisher.
"Correre una maratona può dare un senso di scopo, responsabilità, autostima e formazione dell'identità", secondo il professor Kevin Masters dell'Università del Colorado a Denver che ha studiato i runner per decenni. Identità è la parola chiave. Come diceva il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman (1925-2017) l’identità è un’invenzione moderna, in quanto la ricerca di coerenza dipende dai continui cambiamenti a cui è sottoposta la società. Nel 1896 come oggi. Filippide, o chi per lui, nel 490 a.C. aveva altri problemi.
Sportivi, in fondo nessuno ci mette le ali
Siamo sempre alla ricerca di emozioni forti, di obiettivi ambiziosi e anche un po' vanitosi: per la serie "visto che figo?". Dopo la pandemia di Covid-19 la partecipazione agli sport estremi è aumentata vertiginosamente. Business Insider dice che si stimano 490 milioni di persone al mondo alle prese con queste attività. Perché? Magari il desiderio di liberarsi dalla monotonia dopo il lockdown e anche da un'esplosione sui social, che mette in mostra il fascino delle attività ad alto tasso di adrenalina. Gli sport estremi potrebbero potenzialmente offrire benefici terapeutici alle persone con difficoltà nella regolazione emotiva. Perché?
Vietato sbagliare. Dicesi sport "estremo" quello in cui un errore o un incidente mal gestito può causare lesioni gravi o la morte. Ma la ricerca del brivido non è una dipendenza dall'adrenalina dicono studi recenti ancora in corso presso l'Università del Galles del Sud.
Fattori. Altri studi hanno identificato personalità, motivazione e persino la neurobiologia come fattori determinanti per la scelta di uno sport estremo. Ma non è ancora chiaro quale di questi fattori spinga costantemente le persone a partecipare a sport ad alto rischio.
Il branco. Odette Hornby, dottoranda in psicologia dello sport nell'ateneo gallese, ha identificato con i suoi colleghi 5 fattori motivazionali: connessione, personalità, obiettivi, gestione del rischio e dipendenza. Sul primo punto è come abbiamo scritto per la maratona: molti trovano un profondo senso di appartenenza alla comunità degli sport estremi e sono spinti dal desiderio di superare i propri limiti personali.
Alessitimia. La personalità gioca ovviamente un ruolo fondamentale: chi ha difficoltà a identificare ed esprimere i propri sentimenti utilizza gli sport estremi per regolare le emozioni. L'alessitimia è proprio un disturbo dell'elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di autoregolazione e riorganizzazione delle emozioni.
NNP, not normal people. Gli ultimi due punti sono in correlazione. Gli sportivi estremisti non sono dei pazzi e scriteriati. Anzi, sono molto consapevoli dei rischi che corrono e diventano maghi nella gestione delle situazioni pericolose. Tanto da soffrirne l'astinenza quando vivono come persone normali.
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Da AMA LA MAGLIA
Le World Series del baseball quest’anno sono un classico: New York Yankees contro Los Angeles Dodgers. Costa Est contro Ovest, la Grande Mela contro la Città degli angeli, i cattivi dal Bronx contro i fighetti californiani. In fondo è un derby, visto che i Dodgers sono nati a Brooklyn prima di andarsene sull'altra costa nel 1958.
Proprio ai tempi del derby di NY è nato il mito di Jackie Robinson (1919-1972), il primo afroamericano a giocare nella MLB. La sua maglia numero 42 è stata ritirata da tutte le squadre nel 1997. Il 15 aprile di ogni anno è il Jackie Robinson Day per la Mlb e tutte le squadre si presentano in campo con tutti i giocatori con il numero 42. In questo post del blog Ama la Maglia vi racconto la sua storia.
Su Ama la Maglia, il mio blog dedicato alle divise sportive, ti aspettano 1.500 post con tante storie e curiosità.
Match POINTZ
21.000: a cosa si riferisce questo numero? Il corrispondente del Guardian Nick Ames lo spiega nella sua storia dall'Arabia Saudita e ci dice perché i Mondiali di calcio del 2034 è meglio che si organizzino altrove.
Olimpiadi: "Dal 1896 a oggi, ovvero in 128 anni, abbiamo vinto sei ori di squadra. Dunque siamo un grande Paese individualista e polivalente". Indovinate chi lo dice?
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